blog di fabchi.

07 novembre, 2005

Paris is Burning


Il libro di Collins La Pierre non c'entra, però.
Questo fine settimana H. & P., di Parigi, zona Bourse, guardavano le notizie insieme a me. Nessuna sorpresa, anzi. Un pò di distanza e commenti tristi.

Un problema sociale, vecchissimo ormai, che saltuariamente esplode, ma che questa volte più di altre è diventato sempre più grande, anche per l'esposizione mediatica.
Mettiamoci nei panni di un figlio di un figlio di un algerino a Parigi: nasci in quartieri/ghetto enormi e disarmanti, subisci costantemente discriminazioni più o meno velate per l'accesso alla scuola o al lavoro, la polizia tende a vederti non come un cittadino a tutti gli effetti ma come un soggetto da tenere d'occhio. La speranza era al lumicino. Speranza di un futuro più decente, un tensione continua continua verso il futuro. Alcuni studiano e riescono ad uscire dal ghetto, tutti gli altri sono destinati a barcamenarsi tra mancanza di lavoro (o, quando va bene, un lavoro sottopagato o umiliante) e situazioni sociali invivibili, mentre per anni la televisione e tutta la società ha creato piano piano il mito del successo, dell'arrivare, della ricchezza. Ma questi giovani, che non hanno speranza alcuna di farcela, si sono resi conto che era una balla. Alcuni si danno alla criminalità, altri alla religione, altri ancora alla politica, ma la grande massa rimane in mezzo, immobile verso un futuro che è davanti agli occhi di tutti ma a cui loro non possono accedere. Ecco perchè devastano tutto quello che gli si para d'innanzi, automobili, benzinai, banche, tutti simboli concreti della ricchezza che è tutta intorno ma che a loro è negata. Non c'è un indirizzo, un fine, c'è solo rabbia e irrazionalità.
Come uscirne.
Nell'urgenza, trattando. La repressione mi sembra difficile contro una situazione così diffusa e senza volti chiari da affrontare. Nel lungo periodo... boh. E' un male del nostro sistema sociale, forse possiamo solo conviverci.

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